Il coraggio del dolore
Intervista a Stefania Casavecchia, autrice de “Il coraggio del dolore”, libro biografico che racconta come la donna ha affrontato la perdita del figlio.
Quando mi venne chiesto di fare l’intervista a Stefania, avevo appena superato la prova d’esame per l’abilitazione alla professione di psicologo ed ero satura di nozioni e teorie sui processi della mente, sul disagio psicologico e sulle modalità comportamentali disadattive attraverso le quali questo si esprime, che in alcuni casi si traduce in gesti estremi quali il suicidio. Avevo quindi un bagaglio di studi che mi permetteva di rintracciare diverse possibili spiegazioni, dell’atto suicidario, compreso quello tentato e spesso portato a termine da un adolescente.
Avevo quindi pensato più volte all’angoscia che può portare un giovane a non vedere altra soluzione se non la morte e nonostante non potessi attraverso il pensiero arrivare a comprendere ciò che si può solo “sentire interiormente”, avevo comunque formulato una mia riflessione su questo tipo di dolore. In maniera altrettanto approfondita, invece, non avevo riflettuto su un’altra forma di dolore: quella di una madre che perde un figlio suicida. Più pensavo, più mi rendevo conto che non riuscivo ad immaginare come si potesse sentire una madre di fronte ad un simile gesto, come potesse affrontarlo, quali spiegazioni avrebbe potuto darsi e infine come qualcuno avrebbe potuto aiutarla ad elaborare questo dolore senza forma e senza nome. Di fronte a questa sensazione di impotenza, ho compreso quanto fosse difficile e forse impossibile, nonostante gli innumerevoli studi condotti sul suicidio, trovare risposte esaurienti alle domande di un genitore che deve, non solo accettare l’assenza di un figlio, ma anche prendere atto della sua decisione di togliersi la vita: qualunque risposta per quanto razionalmente valida, non sarà mai in grado di colmare il vuoto. Si possono comprendere le cause, le conseguenze e i fattori correlati ad un gesto estremo come il suicidio, ma come superarlo resta un fardello individuale, di cui il sopravvissuto deve farsi carico per il resto della vita e per vivere.
Stefania ha trovato una possibile soluzione attraverso lo scambio epistolare con il dottore, psicologo e psicoterapeuta, Antonio Loperfido, che lei stessa definisce “una fitta corrispondenza fatta per lo più di domande a cui non sapeva dare risposte” e aggiunge “Antonio non mi ha dato risposte anche perché solo Luigi avrebbe potuto darmele, ma mi ha aiutato a tirar fuori il mio dolore, a comprenderlo, a riconoscerlo e a non pormi domande perché non sempre ci sono risposte”. Da questo costante contatto basato sulla fiducia che Stefania ripone nello psicologo, si sviluppa il lungo e difficile percorso di elaborazione del lutto del figlio Luigi, durante il quale la donna esprime la propria sofferenza, i rimpianti, la rabbia e infine anche la serenità quando inizia ad accettare la perdita e a ritrovare l’energia necessaria per investire nuovamente sulla propria vita e sui legami importanti che la caratterizzano, in particolare con gli altri figli. Il libro raccoglie solo alcune delle mail che hanno segnato le tappe principali di questo cammino, mettendo in luce la possibilità, di fronte ad una realtà improvvisamente priva di senso, di rievocare ricordi, pensieri e sentimenti legati alla persona scomparsa, arricchendoli di un nuovo significato profondo, intimo e vitale.
Come dichiara Stefania nell’intervista, questo libro nasce dal desiderio di condividere con gli altri la propria esperienza e il lavoro intrapreso su di sé, con il sostegno dello psicologo, per mostrarne l’utilità, ma anche la necessità quando eventi critici come la perdita di una persona amata sconvolgono inaspettatamente la vita. Scrive a questo proposito: “Ho imparato che io sono IO proprio perché sono un misto di sentimenti, e non avrei mai pensato “prima di” di poter mostrare quella parte di me che consideravo intima. (…) Lo scrivere ad Antonio tutti i miei dubbi, le mie paure, i rimorsi e le emozioni, mi ha aiutato a capire, catalogare, studiare e riconoscere tutti i mutamenti che si affollavano nella mia mente e a dar loro il giusto valore. Se li avessi lasciati liberi, a briglie sciolte, di girovagare nella prateria della mente, mi sarei persa nel buio”.
Ciò che insegna Stefania è che proprio la forza di portare la propria croce sulle spalle permette di completare il lungo calvario, ossia la possibilità, in altre parole, di entrare in contatto con il proprio vissuto e di rielaborarlo, grazie all’aiuto di chi, come nel suo caso, è in grado di accogliere e rispettare questo dolore.
La mancanza di una persona tanto importante per noi, invade la realtà rendendola improvvisamente insignificante e priva di colori, di luce, di gioia, una “non vita” appunto. Ma solo immergendosi in questa realtà, assaggiandone fino in fondo il sapore amaro, il sapore delle lacrime, del dolore, solo allora è possibile riemergere, ricominciare una vita arricchita da un nuovo significato, non disgiunta da quella precedente ma ridipinta con colori nuovi. Solo grazie al coraggio del dolore è possibile superare lo sconforto affettivo e attenuare il dolore.
Non deve essere stato semplice all’inizio affrontare il tema del suicidio di tuo figlio con degli estranei, dover ricordare ciò a cui si cerca di non pensare per soffrire meno. Cosa provavi e cosa ti dava la forza per farlo?
Mi riferisco alle persone incontrate che stavano vivendo il tuo stesso dramma a cui hai saputo dare una parola di conforto. Parlare di Luigi e della sua morte mi dà tanta serenità perché è come averlo sempre presente nella mia vita quotidiana tanto che a volte non mi rendo conto di suscitare reazioni contrastanti e di disagio nelle persone a cui mi rivolgo. Mi riallaccio alla risposta di prima. Quando so di un ragazzo morto suicida io cerco di contattare i genitori per offrire il mio aiuto; vengo assalita dall’ansia di non riuscire a dare un minimo di conforto ma mentre il telefono dall’altra parte del filo squilla, poi una strana calma prende possesso di me e se devo ripetere ciò che dico ai genitori, credo sia Luigi che mi sussurra il modo e le parole giuste.
Come procede ora l’associazione di auto e mutuo aiuto che hai fondato nella tua città?
Caspita… procede molto a rilento, perché vivo in una cittadina di 8500 persone, dove tutti si conoscono e dove ancora si pensa che incontrarsi in un gruppo di auto mutuo aiuto voglia dire mettere in piazza le proprie emozioni e la propria vita. Ancora non c’è la cultura dell’associazionismo. Non mi arrendo però continuerò a diffonder l’auto mutuo aiuto
Dopo la morte di Luigi hai messo alcuni dei suoi effetti personali e altri oggetti riguardanti la sua morte in una valigetta. Sei mai andata a riaprirla? Ti è mai venuta voglia di farlo? Tuo marito e i tuoi figli l’hanno mai fatto?
Sì, apro la mia piccola valigetta di tanto in tanto, a volte la apro per vedere le foto di Luigi nel suo ultimo giorno come per ricordarmi che davvero sia morto, o per toccare i suoi oggetti più cari o tenere fra le mani il cavo che gli ha tolto il suo ultimo respiro… in questi casi credo che gli psichiatri avrebbero piacere ad analizzarmi, cosi tra le lacrime rido e richiudo la valigetta più serena. Non credo che le mie figlie o mio marito lo abbiano mai fatto. Per il primo anno la tenevo chiusa da un lucchetto, era il mio “tesoro” poi invece lo ho tolto cosi possono aprirla, non è giusto, Luigi è parte di tutti noi.
Dopo che Andrea ha scoperto il vero modo in cui è morto il fratello, come si è comportato nei tuoi confronti? Non ti ha mai rinfacciato di avergli tenuta nascosta la verità per tanto tempo?
Andrea è stato malissimo il giorno in cui lo ha scoperto; era la sera prima di ferragosto ed è come se Luigi fosse di nuovo morto in quel giorno. Mi ha rimproverato per non avergli detto la verità subito ma gli ho spiegato i motivi per cui non lo avevo fatto e lui sembra aver capito. In quel momento era molta la rabbia verso il gesto di Luigi e tanto il dolore per la sua perdita che non ha dato tanto peso al fatto di non averlo saputo prima. Ora parliamo di tutto ma mai del fatto che lui ha saputo dopo del suicidio cosi non mi chiedo mai nulla, credo mi abbia perdonato. P.S. Andrea ha letto questa risposta e mi ha detto che non è mai stato arrabbiato con me
Dopo la morte di Luigi hai trasformato il garage nel tuo studio di pittura. Come ti è venuta questa idea? Come riuscivi ad entrarvi senza sentire la sua presenza e senza rabbrividire vedendo la poltroncina.
Dal giorno stesso non sono più riuscita a mettere la macchina nel garage, lo vedevo un luogo sacro, mi dava fastidio anche che si calpestasse il suolo. La mia casa era piena di tele, quadri, colori, pennelli, tutto questo disordine dava fastidio, giustamente, ai miei figli e a mio marito, cosi mi è venuta l’idea di chiudere la parte di garage dove Luigi si è tolto la vita e di animarla con i miei colori. Nel garage c’erano due poltroncine, una si trova nella mia stanza da letto vicino il mio comodino ed è piena di animaletti di peluche, l’altra si trova nel garage/studio ed è circondata da colori, pennelli e tele. La presenza di Luigi la sento ovunque dentro e fuori di me maggiormente nella sua stanza e nel garage, in questi due luoghi io sento che lui mi osserva non so spiegarti è come se il mio pensiero si unisca al suo.
Che cosa pensano di te tuo marito e i tuoi figli riguardo a come hai affrontato questo dramma? E tu di loro cosa pensi? Vi siete sentiti vicini?
Dovrebbe essere la risposta più semplice di tutte ma per me è la più dura. Non so minimamente cosa pensano di me, forse proprio perché non è una cosa che è successa solo a me ma a tutti noi. Ognuno ha affrontato la morte di Luigi in modo completamente diverso l’uno dall’altro. Ho imparato che i grandi dolori tendono a separare o ad unire le famiglie, a noi non è successo né l’una né l’altra cosa, ovvero a volte mi sembra ci sia una grande affinità fra tutti noi e un’unione speciale, a volte percepisco che tutti siamo un po’ più distanti. Dipenderà anche dal fatto che in casa come dentro di noi, Luigi è sempre presente e il dolore della sua mancanza fisica ci ha segnato molto e ci rende vulnerabili.
Concludiamo con una frase che Stefania ha scritto sul retro del libro.
Sei stato precoce in tutto, nel parlare, nel camminare, e nel morire.
Non riesco a continuare a scrivere le lacrime offuscano la vista.